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False comunicazioni sociali: di cosa si tratta

false comunicazioni sociali

Reato disciplinato dall’articolo 2621 del Codice Civile

Gli amministratori di azienda, i sindaci, i liquidatori, i direttori generali e i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari che consapevolmente espongono oppure omettono fatti nei bilanci o nelle comunicazioni rivolte ai soci, commettono il reato di false comunicazioni sociali.

In concreto il reato si configura quando:

  • nelle relazioni o nelle altre comunicazioni dirette ai soci o al pubblico previste dalla legge si espongono volontariamente fatti materiali rilevanti non veri;
  • vengono omessi dalle comunicazioni sociali fatti materiali rilevanti sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo, la cui comunicazione è imposta dalla Legge.

Quando si configura il reato di false comunicazioni sociali

Quello delle false comunicazioni sociali è un reato proprio e istantaneo che può essere commesso solo dagli amministratori di una società o da chi è incaricato della redazione delle comunicazioni sociali previste dalla Legge e si consuma quando il bilancio manomesso viene portato a conoscenza dei destinatari. È un reato procedibile d’ufficio e l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, dice la norma, “con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico”. La frode fiscale, infatti, inevitabilmente si deve accompagnare da illecite manipolazioni dei documenti e dei bilanci destinati ai soci, ai creditori sociali e al pubblico, per poter nascondere gli ammanchi.

Il reato di false comunicazioni sociali, quindi, non si integra in automatico in caso di omissioni o falsità, ma occorre che il soggetto attivo ponga in essere azioni illecite con la volontà di indurre i soci o il pubblico in errore al fine di ottenere per sé o per altri un ingiusto profitto.

Le pene

Inizialmente la pena prevista dal Codice Civile per il reato di false comunicazioni sociali era una multa e la reclusione fino ad un massimo di due anni. La punibilità era, inoltre, esclusa se le falsità e le omissioni non alteravano sensibilmente la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, oppure se non determinavano una variazione economica (al loro delle imposte) superiore al 5%, o del patrimonio netto superiore all’1%. In questi casi la pena era la sola sanzione amministrativa e l’interdizione dagli uffici direttivi da sei mesi a tre anni.

La riforma delle false comunicazioni sociali nella Legge n.69 del  27 maggio 2015 modifica il reato da contravvenzione a delitto, modificando la pena con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica anche nel caso in cui le omissioni o le falsità riguardano i beni che la società possiede o amministra per conto di terzi.

In base alla natura e alle dimensioni della società, e agli effetti della condotta, il giudice può considerare i fatti che integrano il reato come di lieve entità: in questo caso la pena è la reclusione da sei mesi a tre anni. I fatti di lieve entità riguardano le imprese che non possono fallire non superando i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 della Legge Fallimentare:

  • quelle che nei tre esercizi antecedenti hanno avuto un attivo patrimoniale annuo non superiore a 300 mila euro;
  • quelle che nei tre esercizi antecedenti hanno realizzato ricavi lordi per un ammontare annuo non superiore a 200 mila euro;
  • quelle che hanno un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiore a 500 mila euro.

In questo caso il reato non è d’ufficio ed è perseguibile a querela di parte della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari delle comunicazioni sociali.

In base all’articolo 157 del Codice Penale il reato si prescrive in 6 anni, che aumentano fino a 7 anni e 6 mesi in caso di interruzione.

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